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Baia d'Oro Residence Torre Mozza

Torre Mozza e le secche di Ugento

Adagiata sulla sabbia Torre Mozza si specchia in tratto di mare basso, tenero e trasparente dal carattere bifronte che sembra rivolgersi con gentilezza ai bagnanti e con arcigna severità alle imbarcazioni che vogliano vulnerarne la quiete. Le secche di Ugento collocate a tre, quattro chilometri dalla costa che congiunge Torre Pali con Torre Mozza con il loro basso fondale e la loro peculiare conformazione hanno rappresentato nei secoli una sfida ardua per i naviganti e le imbarcazione trasformandosi in teatro di celebri naufragi. Celeberrimo quello del re dell’Epiro Pirro raccontato da Plutarco nelle sue Vite parallele. Chiamato in soccorso dai tarantini nella battaglia contro Roma, Pirro imbarcò venti elefanti, tremila cavalieri, ventimila fanti, duemila arcieri e fece vela verso Taranto. Un impetuosa tempesta lo colse una volta superato il capo di Leuca disperdendo la flotta e facendo incagliare la nave reale contro le secche al largo di Ugento. Vistosi nel pericolo il re dell’Epiro si gettò in mare dove passò la notte tra il vento e lo strepito delle onde per conquistare la riva solo il mattino dopo “con le membra si lasse e rotte, che più non poteva, ma con tale ardire e forza dell’anima che superava ogni difficoltà”. Approdato sulla costa, la stessa che oggi ospita Torre Mozza, fu soccorso dai messapi e gli furono condotte alcune delle navi salvate con pochi cavalieri, meno di tremila fanti e due soli elefanti con cui si mosse via terra verso Taranto. I toponimi legati a queste secche rimandano ad altri racconti e leggende, come nel caso dello scoglio della fanciulla, che rimanda al tempo dei corsari turchi e del temibile Dragut. La leggenda narra che durante una incursione nell’entroterra salentino il corsaro turco fece prigioniera la figlia di un colono di una masseria con l’intento di farne una schiava. La fanciulla nonostante le torture e le violenze oppose sempre una orgogliosa resistenza rifiutando di abiurare la propria fede cristiana. Uccisa, fu gettata in mare dallo stesso Dragut. Qualche giorno più tardi il corpo della fanciulla fu ritrovato ricoperto da un velo di sabbia sullo scoglio che da lei prese il nome. Sempre a storie di naufragi e fondali insidiosi rimanda il toponimo di altri tre scogli, facenti parte delle secche, si chiamano “Cavaddhu” (cavallo), “Sciumenta” (giumenta) e “Puddhitru” (puledro). I racconti tramandati dalla cultura popolare ancora una volta hanno per protagonisti i turchi, che dopo aver saccheggiato la zona del Capo di Leuca, portarono a bordo del proprio vascello un pastore, che fu fatto prigioniero insieme ai suoi tre cavalli. Reduci dalla sbornia e dai festeggiamenti per i bottini conquistati i corsari furono sorpresi da una tempesta che non lasciò scampo a nessuno dei turchi,. Gli unici a salvarsi furono proprio il pastore e i suoi cavalli: l’uomo riuscì ad aggrapparsi all’albero di poppa per resistere alla tempesta, mentre i cavalli si rifugiarono sui tre scogli che da loro hanno preso il nome. Non legato alla leggenda ma alla cronaca, poi, il naufragio del mercantile Liesen che da trenta anni giace sul fondo delle secche e offre il suo scafo come rifugio a pesci e crostacei e allo sguardo curioso di sub e apneisti. Le secche Ugento, che con la loro spigolosità preservano gelose il mare di Torre Mozza, sono anche meta privilegiata di appassionati dell’immersione cui offrono lo spettacolo ormai piuttosto raro delle cernie che risalgono dagli abissi per cacciare in zone più ricche di luce o i dei branchi di orate che banchettano sottocosta, o dei pelagici, qui di casa, che in alcuni momenti particolari, si concedono agli occhi dei subacquei in tutta la loro maestosità.