Torre Mozza il Salento e il suo mare
Torre Mozza, un Salento profondo e pieno di risonanze, suggerisce diverse letture del suo profilo a seconda dell’angolo prospettico dello sguardo che la investe. Vista dal mare appare come un timido gregge di case stretto attorno alla sua torre-pastore, accucciata ma sempre all’erta; vista dalla costa si presenta come una frontiera diafana di sabbia con il suo presidio turrito, che però non ha più nulla di accigliato o militare. Comunque la si guardi , indipendentemente dalla prospettiva, Torre Mozza e il Salento trovano la loro definizione a partire dalla spazio marino che ne precisa contorni, limiti e prospettive. Torre Mozza illustra, infatti, un Salento che ancora si racconta e rivive senza posa, trovando nella vocazione mediterranea il sottotesto di ogni sua vicenda umana e storica. Nel rapporto col mare si costituisce l’essere proprio di questa terra, che continuamente cerca di ricomporre il suo mosaico inseguendo significato e valore di ogni sua tessera: l’Europa, il Mediterraneo, il Levante; il giudaismo, il cristianesimo, e l’islam; il Talmud, la Bibbia il Corano; Gerusalemme, Atene, Roma. Qui popoli e razze hanno continuato a mescolarsi, fondersi e contrapporsi gli uni agli altri. Lo specchio di mare che fronteggia Torre Mozza e il Salento, infatti, è stato per secoli non limite ma superficie da attraversare per popoli e culture. Un invito al viaggio che ha regalato incontri e storie, leggende e miti. Miti che hanno solcato il mare di Torre Mozza, lo Ionio, regalandogli una toponomastica carica di echi e suggestioni antiche. Mentre alcune fonti attribuivano l’origine del nome all’eroe Ionio, figlio di Durazzo, nipote a sua volta di Epidamno, una tradizione più consolidata, che si fa risalire ad Erodoto, collega la denominazione del mare al mito di Io, figlia di Inaco, trasformata da Zeus, innamoratosi di lei, in giovenca per metterla al riparo dalla gelosia di Era. Il sotterfugio però non ingannò la dea che mandò dei tafani per tormentarla. La fanciulla per sfuggire al supplizio attraversò mari e terre giungendo sulle rive del mare che da lei prese il nome. Nome che ricorre anche in un gustoso carme di Catullo che descrive la pretensiosa figura di Arrio, arrampicatore sociale, convinto di aggiungere raffinatezza alla sua parlata inserendo aspirate a sproposito. Così oltre a pronunciare “homodi” per comodi, “hinsidie” per insidie, aspirava anche il nome dello Ionio facendo diventare le suo onde “hionie”, ovvero tempestose, richiamando il termine greco chioneoi. Acque tempestose dello Ionio che furono attraversate anche da Cerere madre di Proserpina alla disperata ricerca della figlia rapita dal dio degli inferi, quasi che fosse destino di questo spazio di mare essere solcato da eroine tormentate. Ma lo Ionio fu anche nell’immaginario classico luogo d’approdo è qui, infatti, che Omero fa terminare le peregrinazioni di Odisseo e che si svolgono le ultime imprese di eroi come Filottete, Diomede, Calcante. Fu questo mare che vide navigare le figure di mitici fondatori di città come Metabos , Falanto e Miscello. Ed è in questo mare dagli echi mitici mai sopiti, che Torre Mozza e il Salento si specchiano come nuovi Narciso a cogliere la bellezza del canto incessante delle sue onde, che parla di dei eroi e popoli leggendari capaci di raccontare una sempiterna verità umana.